Dopo i Congressi: regionale, provinciale e cittadino, si può aprire a Brescia una nuova e positiva fase per il PD. All’insegna d’un percorso unitario che ha eletto i rispettivi Segretari: Roggiani, Zanardi e Cammarata. Ma tutto ciò sollecita anche una riflessione più ampia. Il Congresso nazionale con l’elezione della Segretaria Schlein ha sì segnato una discontinuità nel PD, ma non ha ancora gettato l’arcata del ponte sul futuro. Ci troviamo ancora in bilico sia sulla strategia politica che sulle alleanze. Quindi sul ruolo stesso del nuovo PD.
Ma qual è oggi la natura plurale del PD? Quella “bipolare” del Congresso nazionale, con Schlein contrapposta a Bonaccini? O quella successiva ed unitaria in Lombardia? O con in campo entrambe le diverse opzioni? Visto che anche in Lombardia lo schema nazionale è stato pur tentato con la candidatura a segretario regionale di Del Bono. Ma che poi è rientrata.
Il pluralismo del PD fotografa non solo la sua organizzazione interna, ma ancor più la sua linea, le sue alleanze politiche e sociali.
C’è un efficace proverbio – cosa fatta, capo ha!- che nella riflessione politica dovrebbe esser...bandito. Certo, nella vita reale spesso è risolutivo di molti problemi perché su un passato travagliato, ma rimasto irrisolto, mette almeno una pietra sopra per non esser continuamente risucchiati in un vecchio e pericoloso gorgo, facendo peraltro poi anche una brutta fine.
Ma sul piano della riflessione critica è tutt’altra storia.
Parlo di Letizia Moratti, della sua candidatura alla presidenza di Regione Lombardia, delle posizioni assunte allora a suo sostegno da parte di alcune forze del Centro Sinistra e di settori dello stesso PD.
Certo, adesso con una Moratti che ritorna in Forza Italia con incarichi nazionali tutto è più chiaro. Compresa allora la rottura-non rottura con il Centro Destra, dovuta alla mancata candidatura a Presidente della Lombardia, ma da parte di quel suo versante. E non certo per un suo progressivo spostamento su un fronte centrista e progressista.
Immaginiamoli oggi il Centro Sinistra ed il PD lombardo, divisi già allora sulla Moratti, con quel suo Terzo Polo ora spaccato a metà, con questa “nostra Leader” (!!!) sulla sponda d’un fiumiciattolo come il Rubicone, mai da lei per davvero oltrepassato e che ci saluta, ritornando sui suoi passi, peraltro mai disconosciuti!
Ma allora per taluni, anche di casa nostra, l'aritmetica andava per la maggiore: tot di qui, più tot di là, ce la possiamo fare con la Moratti contro Fontana! Rileggiamoli i giornali, con il pressing sul e nel PD. Ma pure sulla tenuta d'una giusta posizione della Segreteria di Vinicio Peluffo e della Direzione regionale del PD, sulla scelta poi della candidatura di Majorino e l'alleanza da cui poter ripartire dall'opposizione.
La candidatura di Marco Cappato è criticata da settori dell’area cattolica. Penso alle dichiarazioni dell’on. Bazoli e del vicesindaco Manzoni. Da parte mia ritengo che tale candidatura sia condivisibile in base al pluralismo del Centro Sinistra. Anche se non nascondo le mie obiezioni su una visione “radicale” dei diritti.
Valuto con serietà le critiche. Analoghi problemi di candidature ci derivano dalla riforma elettorale del ’94. Come quando tra l’Ulivo e Rifondazione ci si è accordati nel 1996 sul “patto di desistenza” nei collegi uninominali. Ma che – ieri come oggi - rimanda sempre al seguente quesito: in un Collegio uninominale il candidato unico, indicato da vari partiti alleati tra loro, è poi votato dai loro elettorati? Mentre per la Destra direi di sì, per il Centro Sinistra la risposta è molto incerta! Infatti, in alleanza col PD i vari Renzi, Bersani, Fratoianni o Bonino sono tutt’altro che certi d’esser votati, come candidati unici, dall’insieme del Centro Sinistra. Anzi! A conferma direi che il M5S ha fatto la fortuna del suo 33% anche su questo.
Provocando un po’, se immagino un voto uninominale con i Capilista delle liste in Loggia, suddivisi in otto ipotetiche circoscrizioni in città, non avremmo avuto certo lo stesso voto del 55% per Castelletti. Stessa Alleanza e stessi Candidati, ma cambia radicalmente la “offerta” della rappresentanza politica!
In un sistema pluripartitico, com’è il nostro, ho sempre ritenuto che il voto per Collegi uninominali fosse per il Centro Sinistra una…“follia”. La stessa che ci ha spinti a sostenere il sistema uninominale per poter costringere – ope legis - il sistema politico italiano verso il bipartitismo. Inseguendo il mito del partito unico del Centro Sinistra. Con relative “vocazioni maggioritarie”, ma poi con i risultati che sappiamo.
La legge elettorale del ’94 è bicefala. Con due principi opposti. Per Regioni ed Enti locali ognuno vota il suo partito che si allea con altri. Come s’è fatto in Loggia, con la Sinistra che s’è alleata con Calenda-Renzi. Ma ognuno votando il proprio simbolo. Ed insieme – ma distinte! - le otto Liste hanno vinto, cogliendo il cuore d’una rappresentanza differenziata della città.
A livello nazionale no. C’è un candidato unico e con vari cambiamenti in 30 anni: dai 2/3 dei seggi per Collegi uninominali col Mattarellum, del 1994, ridotti a circa un 1/3 con il Rosatellum.
Ma che c’entra tutto ciò con Cappato? Tutto, perché la politica tutta e sempre si tiene. Perché nell’ambiguità del PD sui Collegi uninominali – dove tutti gli elettori dell’alleanza votano un candidato, ma d’un solo partito - entra in crisi il Centro Sinistra. Mentre il Centro Destra fa la sua politica. Infatti, nel 2020 ha pure tentato il colpaccio col Referendum, promosso dalle otto sue Regioni, per avere il voto espresso solo sulla base di Collegi uninominali, senza neppure il 25% proporzionale. Tentativo poi respinto, ma dalla Consulta.
Con un sistema elettorale più simile a quello di Regioni e Comuni il Paese avrebbe avuto un’altra storia. Come peraltro diversa è stata la storia tra Governo nazionale e Territori, con il Centro Sinistra allora al Governo in 15 Regioni (e non le 4 di oggi) e nel 65% dei Comuni!
di Claudio Bragaglio (in: GRAFFITI, periodico della Val Camonica, ottobre 2023)
La stagione delle riforme istituzionali presenta un bilancio fallimentare. Ad un tale giudizio non si sottrae neppure il Centro Sinistra, considerando le proposte fatte per forme di governo - nazionale e locale - o per leggi elettorali. La causa più insidiosa d’un tale comportamento è quella di immaginare le riforme, più che dal punto di vista del Paese, in base a mutevoli interessi politici. Con “riforme” intese come varianti del consenso momentaneo per i partiti o – negli Enti Locali – anche per gruppi locali di potere, spesso trasversali.
Il giudizio critico riguarda le contraddittorie proposte di riforma avanzate sia per forme di Stato e di Governo, che per Regioni ed Enti Locali. Passando dalla Commissione Bicamerale del 1977, presieduta da D’Alema, alla Riforma costituzionale Renzi-Boschi. Della Commissione D’Alema s’è salvata solo la riforma del Titolo V della Costituzione, riguardante Regioni, Province e Comuni, approvata nel 2001. Mentre la riforma Renzi-Boschi è stata respinta nel Referendum del 2016, con il 60% di voti contrari. Bocciando quindi anche la scelta di sopprimere le Province, prevista in tale testo anche in chiave “anticasta”.
Ma alle nostre spalle c’è confusione perché lo “spirito del tempo” è ancora quello della legge-ponte del ministro Delrio, tesa al superamento delle Province con l’eterea idea degli “Enti di area vasta”! Si aggiunga il voto per le Province, ma di secondo livello, ovvero un voto espresso non dai cittadini, ma dai soli Consiglieri comunali.
Oggi il tema si ripropone, ma per una nuova futura Provincia e ritorna in campo il voto “restituito” ai cittadini. Questa la possibile novità, oltre che l’auspicabile voto per le Province nel 2025.
In fatto di leggi elettorali s’è disinvoltamente passati da sistemi proporzionali a quelli maggioritari. Dal Mattarellum del 1994, al Porcellum del 2005 ed al Rosatellum in vigore. Con elettori che votano per i Comuni con un sistema elettorale pressoché opposto a quello nazionale!
Con le rinate Province per taluni c’è pure il ritorno di fiamma per la “Provincia Camuna”. Una tentazione, quand’anche con poche speranze. Ma con un nuovo giro di giostra…non si sa mai!
Si pensi alla proposta di legge, del 1994, per la “Provincia Camuna”- con capoluogo Darfo - del sen. Garatti. Alla stessa idea, nel 1998, dell’on. Caparini, ma con capoluogo Breno. O, nel 2001, del sen. De Paoli, pure con quella sua screditata lista civetta di “Lega Alpina Lumbarda”.
I tentativi di riforma più seri, proposti tempo fa anche dall’Unione delle Province (UPI), sono stati quelli di assicurare alla Provincia un ruolo di cerniera tra Comuni e Regioni. Si erano così avanzate varie ipotesi, in presenza della novità delle 15 Città metropolitane che sostituivano le loro Province.
Ma i parametri erano quelli di prevedere Province almeno con 300 mila abitanti, il loro accorpamento o la soppressione di Province in piccole Regioni dove era possibile un rapporto diretto tra Comuni e Regioni. Tale Riforma avrebbe ridotto di circa un terzo il numero delle Province esistenti. Ma una divisione anche fra “opposti localismi” ha fatto fallire la soluzione auspicata. Aprendo così la strada alla soppressione, sic et simpliciter, delle Province stesse.
Va ripreso il cammino di una seria riforma, non solo col voto restituito ai cittadini, ma respingendo il localismo che ci riporterebbe in un vicolo cieco.
Ho trovato l’intervento dell’amico Elio Marniga molto interessante, seppur non condivisibile. Interessante perché dice d’un suo malessere nel PD. Non condivisibile, perché è una critica senza proposte. Uno sfogo. Ma se mi fermassi qui barerei al gioco perché proposte possono certo venire da tutti. Ma, in primo luogo, sono l’ubi consistam d’un gruppo dirigente di partito. Se è per davvero tale! Ma su questo punto dolente Marniga ha una qualche fondata ragione di critica.
Conosco e stimo Elio da tempo. Più volte mi ha fatto anche gradito omaggio di sue pubblicazioni. Molti anni fa abbiamo sui primi Social incrociato le lame della polemica, pur non sapendo chi fosse, perché trincerato dietro un intrigante “nom de plume”, di rimando ebraico. Per questa stima prendo in grande considerazione i suoi “umori neri”, che lo han portato in parte fuori dal PD. Aggiungerei che vedo in lui anche una lunga storia democristiana, tutta “bresciana”. Con quella connotazione positiva che ha dalle nostre parti. Anche se, già in un lontano 2011, criticavo quel suo inquieto “zigzagare” e pure la sopravvalutazione della “Officina della Città” di Francesco Onofri in Loggia!
Ma, con amichevole franchezza, gli chiedo che rapporto c’è tra le sue idee politiche degli anni passati e l’attuale situazione critica del PD? Di mio penso che questo sia per molti il nodo solitamente evitato nello stabilire un qualche nesso tra il proprio dire col proprio fare.
Questo l’interrogativo da porci. Con onestà intellettuale.