Alcuni dubbi e riflessioni critiche sull’eventuale candidatura della Segretaria, Elly Schlein – in tutte le cinque Circoscrizioni od in parte – per il voto in Europa. In un personale modesto…decalogo.
Primo. La progressiva occupazione di ruoli – Segretaria del PD, Deputata alla Camera, poi Parlamentare in Europa - ma nell’impossibilità di poterli sommare, quindi non potendo poi farvi fronte.
Secondo. Il rischio della riproposizione del peggior “politicismo”, con candidature istituzionali ritenute strumentalmente funzionali solo ad un interesse di corrente o di partito.
Terzo. Il danno per le altre candidature femminili in Europa, derivato da una obbligata concentrazione degli sforzi sull’esito della Segretaria nazionale. Di conseguenza, delle tre possibili “preferenze” con alternanza di genere, le due rimanenti – come da precedenti esperienze - vanno in netta maggioranza a candidature maschili.
Quarto. L’effetto di imitazione della probabile candidatura in Europa dell’on. Meloni. Nell’illusione di avvalersi della contrapposizione: Meloni-Schlein. Quando il meglio della Segretaria del PD – e la ragione del suo successo congressuale - sta proprio nel suo esplicito rifiuto di queste logiche di potere.
Quinto. La rinuncia – di fatto! - ad un suo ruolo federativo del Centro Sinistra, come suggerito da Prodi.
L’on. Pierluigi Castagnetti critica Elly Schlein perché nella Segreteria del PD non c’è un “Popolare”. Schlein risponde che “senza cattolici non c’è PD”. Bene. Ma in questo pingpong vi sono due nodi irrisolti. Perché l’Area di Bonaccini, data la sua composizione, non ha reclamato un Popolare in Segreteria? Perché dovrebbe esserci tale rappresentanza, ma in assenza d’una Area cattolica strutturata nel PD? In realtà queste contraddizioni derivano da un problema irrisolto dal PD. Lo stesso nodo che ha portato alla crisi l’Ulivo di Prodi nel ’98 ed è rimasto irrisolto nel 2007 con la nascita del PD.
E’ il problema che deriva dalla singolarità del “caso italiano”, rappresentato dal decisivo rapporto tra un’area cattolico-democratica e la sinistra riformista. Già risalendo all’Aldo Moro della “terza fase” ed al Berlinguer del “compromesso storico”. Confermato – per converso - anche dalla “débâcle” dei Progressisti di Occhetto, nel voto del ’93, schierati contro i Popolari. Da lì poi la svolta - di rilevo nazionale - verso l’Ulivo con Martinazzoli Sindaco a Brescia nel ‘94 e per la quale s’è vinto allora e si rivince ancora oggi in Loggia.
Nell’Ulivo prima e nel PD poi si sono scontrate due opposte tendenze che guardavano al di là dall’Italia. Al Partito Democratico degli USA, con un PD dal confuso “meticciato culturale”. Anche da ciò – ritengo - la mancata adesione al PD d’un Martinazzoli. La seconda, ad un Partito socialista europeo. Con una tale dualità anche a sinistra tra Veltroni e D’Alema. Con nel petto del PD queste anime opposte.
Dopo i Congressi: regionale, provinciale e cittadino, si può aprire a Brescia una nuova e positiva fase per il PD. All’insegna d’un percorso unitario che ha eletto i rispettivi Segretari: Roggiani, Zanardi e Cammarata. Ma tutto ciò sollecita anche una riflessione più ampia. Il Congresso nazionale con l’elezione della Segretaria Schlein ha sì segnato una discontinuità nel PD, ma non ha ancora gettato l’arcata del ponte sul futuro. Ci troviamo ancora in bilico sia sulla strategia politica che sulle alleanze. Quindi sul ruolo stesso del nuovo PD.
Ma qual è oggi la natura plurale del PD? Quella “bipolare” del Congresso nazionale, con Schlein contrapposta a Bonaccini? O quella successiva ed unitaria in Lombardia? O con in campo entrambe le diverse opzioni? Visto che anche in Lombardia lo schema nazionale è stato pur tentato con la candidatura a segretario regionale di Del Bono. Ma che poi è rientrata.
Il pluralismo del PD fotografa non solo la sua organizzazione interna, ma ancor più la sua linea, le sue alleanze politiche e sociali.
C’è un efficace proverbio – cosa fatta, capo ha!- che nella riflessione politica dovrebbe esser...bandito. Certo, nella vita reale spesso è risolutivo di molti problemi perché su un passato travagliato, ma rimasto irrisolto, mette almeno una pietra sopra per non esser continuamente risucchiati in un vecchio e pericoloso gorgo, facendo peraltro poi anche una brutta fine.
Ma sul piano della riflessione critica è tutt’altra storia.
Parlo di Letizia Moratti, della sua candidatura alla presidenza di Regione Lombardia, delle posizioni assunte allora a suo sostegno da parte di alcune forze del Centro Sinistra e di settori dello stesso PD.
Certo, adesso con una Moratti che ritorna in Forza Italia con incarichi nazionali tutto è più chiaro. Compresa allora la rottura-non rottura con il Centro Destra, dovuta alla mancata candidatura a Presidente della Lombardia, ma da parte di quel suo versante. E non certo per un suo progressivo spostamento su un fronte centrista e progressista.
Immaginiamoli oggi il Centro Sinistra ed il PD lombardo, divisi già allora sulla Moratti, con quel suo Terzo Polo ora spaccato a metà, con questa “nostra Leader” (!!!) sulla sponda d’un fiumiciattolo come il Rubicone, mai da lei per davvero oltrepassato e che ci saluta, ritornando sui suoi passi, peraltro mai disconosciuti!
Ma allora per taluni, anche di casa nostra, l'aritmetica andava per la maggiore: tot di qui, più tot di là, ce la possiamo fare con la Moratti contro Fontana! Rileggiamoli i giornali, con il pressing sul e nel PD. Ma pure sulla tenuta d'una giusta posizione della Segreteria di Vinicio Peluffo e della Direzione regionale del PD, sulla scelta poi della candidatura di Majorino e l'alleanza da cui poter ripartire dall'opposizione.
La candidatura di Marco Cappato è criticata da settori dell’area cattolica. Penso alle dichiarazioni dell’on. Bazoli e del vicesindaco Manzoni. Da parte mia ritengo che tale candidatura sia condivisibile in base al pluralismo del Centro Sinistra. Anche se non nascondo le mie obiezioni su una visione “radicale” dei diritti.
Valuto con serietà le critiche. Analoghi problemi di candidature ci derivano dalla riforma elettorale del ’94. Come quando tra l’Ulivo e Rifondazione ci si è accordati nel 1996 sul “patto di desistenza” nei collegi uninominali. Ma che – ieri come oggi - rimanda sempre al seguente quesito: in un Collegio uninominale il candidato unico, indicato da vari partiti alleati tra loro, è poi votato dai loro elettorati? Mentre per la Destra direi di sì, per il Centro Sinistra la risposta è molto incerta! Infatti, in alleanza col PD i vari Renzi, Bersani, Fratoianni o Bonino sono tutt’altro che certi d’esser votati, come candidati unici, dall’insieme del Centro Sinistra. Anzi! A conferma direi che il M5S ha fatto la fortuna del suo 33% anche su questo.
Provocando un po’, se immagino un voto uninominale con i Capilista delle liste in Loggia, suddivisi in otto ipotetiche circoscrizioni in città, non avremmo avuto certo lo stesso voto del 55% per Castelletti. Stessa Alleanza e stessi Candidati, ma cambia radicalmente la “offerta” della rappresentanza politica!
In un sistema pluripartitico, com’è il nostro, ho sempre ritenuto che il voto per Collegi uninominali fosse per il Centro Sinistra una…“follia”. La stessa che ci ha spinti a sostenere il sistema uninominale per poter costringere – ope legis - il sistema politico italiano verso il bipartitismo. Inseguendo il mito del partito unico del Centro Sinistra. Con relative “vocazioni maggioritarie”, ma poi con i risultati che sappiamo.
La legge elettorale del ’94 è bicefala. Con due principi opposti. Per Regioni ed Enti locali ognuno vota il suo partito che si allea con altri. Come s’è fatto in Loggia, con la Sinistra che s’è alleata con Calenda-Renzi. Ma ognuno votando il proprio simbolo. Ed insieme – ma distinte! - le otto Liste hanno vinto, cogliendo il cuore d’una rappresentanza differenziata della città.
A livello nazionale no. C’è un candidato unico e con vari cambiamenti in 30 anni: dai 2/3 dei seggi per Collegi uninominali col Mattarellum, del 1994, ridotti a circa un 1/3 con il Rosatellum.
Ma che c’entra tutto ciò con Cappato? Tutto, perché la politica tutta e sempre si tiene. Perché nell’ambiguità del PD sui Collegi uninominali – dove tutti gli elettori dell’alleanza votano un candidato, ma d’un solo partito - entra in crisi il Centro Sinistra. Mentre il Centro Destra fa la sua politica. Infatti, nel 2020 ha pure tentato il colpaccio col Referendum, promosso dalle otto sue Regioni, per avere il voto espresso solo sulla base di Collegi uninominali, senza neppure il 25% proporzionale. Tentativo poi respinto, ma dalla Consulta.
Con un sistema elettorale più simile a quello di Regioni e Comuni il Paese avrebbe avuto un’altra storia. Come peraltro diversa è stata la storia tra Governo nazionale e Territori, con il Centro Sinistra allora al Governo in 15 Regioni (e non le 4 di oggi) e nel 65% dei Comuni!