Partito

Congresso del PD e Loggia: alcune critiche riflessioni

Non basta l’ovvietà quando è in gioco la sopravvivenza del PD ed è da tali situazioni estreme che deriva il “primum vivere deinde philosophari”. Ma il PD per ora vaga in cerca d’una nuova identità e rischia persino di rinviare sine die l’opposizione a questo Governo di destra. Manco di tatto, ma ciò mi richiama l’icastica metafora di “colui che, del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto”.
Abbiamo avviato un Congresso rifondativo. Ma prima s’è già fatta la scelta dei candidati, solo poi con le forbici di Arlecchino si ritaglierà il vestito multicolore da indossare per il voto degli iscritti. C’è chi s’attarda sul “Manifesto” del PD del 2007, senza chiedersi come, dal 2007 al 2018, il PD sia passato da 12 a 6 milioni di voti. Che ne è rimasto d’un PD maggioritario di Veltroni, d’un mancato PD ulivista di Bersani del 2011, per poi ritrovarci Renzi – figlio per nulla degenere del PD – ma sulla sponda opposta? Con relative scissioni. Che dire poi del mito delle primarie, con ben 3,5 milioni di voti, con Veltroni Segretario, ma che ci ha piantato in asso dopo soli 14 mesi. Il primo di 10 segretari, in 15 anni di vita del PD, che sarebbero dovuti essere – come da Statuto! - tutti candidabili a premier del Governo!
Per non dire dei “due Partiti Democratici” dei sindaci, ma con opposte anime faustiane nell’unico petto del partito. Con il “partito dei sindaci”, che s’è sempre adeguato alle scelte nazionali del PD maggioritario, con leggi elettorali “bipartitiche” ed ipermaggioritarie, mentre nel territorio ha vinto promuovendo – e per fortuna nostra! – una politica opposta, fatta dalle più ampie alleanze e di civismo. O delle due componenti – sinistra riformista e cattolicesimo democratico – che nel PD han sì convissuto, ma elidendosi tra loro. Con un PD del bipartitismo che, ipnotizzato dalla conquista del centro, perdeva l’anima sua popolare, lasciando il campo ad un M5S del 33%.
Vi sono candidati e schemi adeguati per un Congresso rifondativo? La mia risposta è molto perplessa. Sia sul fronte di Bonaccini che di Elly Schlein. Vedremo se vi sarà dell’altro. Per ora nebbia, come mai m’è capitato in un Congresso. Peraltro in attesa anche d’una positiva iniziativa del candidato Majorino per la Lombardia.
Questa Costituente mi sembra solo un inizio. Ma, dopo anni di governismo, temo che il PD non sia ancora consapevole della lunga traversata che lo attende nel deserto dell’opposizione. Con l’illusione di avere presto programma ed identità. Penso invece sia prioritario verificare volontà politica e tenuta unitaria del proprio gruppo dirigente. Questo l’hic Rhodus che interpella drammaticamente il PD, ovvero un “patto politico” per poter reggere un lungo e difficile cammino . Se non scatta questo “quid” coesivo non ci sarà Congresso che tenga contro il rischio di  spinte centrifughe. Con spartizione di spoglie nel PD, a vantaggio di progetti tra loro opposti.


L'opzione Moratti per la Regione non è credibile, ma per vincere in Loggia è necessario il campo largo

POLITICA VERSO LE AMMINISTRATIVE
BRAGAGLIO: «L'OPZIONE MORATTI PER LA REGIONE NON È CREDIBILE, MA PER VINCERE IN LOGGIA È NECESSARIO IL CAMPO LARGO».
A BRESCIA «PER IL SUCCESSO ABBIAMO BISOGNO DI TENERE DALLA SINISTRA DI FENAROLI AL TERZO POLO»
Intervista di Thomas Bendinelli (Corriere Della Sera, 08.11.2022)

Il matrimonio con Letizia Moratti era impossibile ma l'alleanza per la Loggia, quella sì, deve essere la più larga possibile e tenere insieme dalla sinistra al terzo polo nella sua interezza, pena il rischio della sconfitta. Così Claudio Bragaglio, padre nobile della sinistra bresciana, presidente della Direzione ed esponente della Segreteria regionale del Partito Democratico.

Davvero l'accordo con Letizia Moratti era impossibile?
«Un'alleanza ampia risulterebbe più competitiva, anche in una regione difficile per il centrosinistra come la Lombardia. «In politica l'aritmetica semplice non funziona. Credo sia sbagliato pensare che la Moratti insieme a terzo polo e Pd possa essere ritenuta un'opzione credibile. E poi era una opzione non praticabile, innanzitutto per quello che Letizia Moratti ha fatto e rappresentato da ministra, sindaca o assessore in Regione».

Niente campo largo però in questo modo.
«Se l'operazione Moratti ha un senso lo si misurerà con i voti che strapperà al centrodestra. Se non accadrà sarà un motivo in più per pensare che questa operazione non avesse senso».

Effetti di questa nuova spaccatura nel campo largo sulla Loggia 2023?
«Rischia di averne ma è da scongiurare in ogni modo. In questo senso il sistema cli voto locale (che favorisce le alleanze larghe, ndr) aiuta».

I tanti nomi che girano come possibili candidati non  aiutano a chiarire il quadro.
«C'è in qualcuno l'illusione che a Brescia si vinca a prescindere, ma credo che questo sia un errore di valutazione e che il buon governo degli anni passati non sia una garanzia per il futuro. Nel 2008 abbiamo perso, nonostante il buon governo, per un quadro politico nazionale e regionale non favorevole. Che nei Comuni di medie dimensioni conta, a differenza che in quelli piccoli».

Nessuna fuga in avanti e tanto lavoro sulle alleanze, quindi.
«Sì, per vincere noi abbiamo bisogno di costruire un perimetro che tenga insieme dalla Sinistra di Marco Fenaroli al terzo polo. Nella sua interezza».



La trama d’un thriller anche per il PD

L’occasione, fortuita come un fuorionda, s’è presentata a Librixia durante la presentazione dell’intrigante thriller: “Lo stiletto d’argento” di Alessio Merigo, accompagnata dalle interessanti riflessioni dei “discussants”, Anita Ronchi e Carlo Piccinato. L’Autore aveva richiamato, con riferimento alla trama ed all’incipit del libro, la “teoria dei giochi” di John Nash.
Un Nobel per l’economia da Merigo stesso incontrato nel 2008 a Brescia, invitato per gli incontri con i “Premi Nobel” dall’Istituto ISEO. Ma alla trama del thriller – con scontato assassinio – inaspettato è stato l’accostamento anche di avvenimenti politici recenti. Con rimandi a vittime - tra queste anche il PD - con acidità di commenti anche tra i presenti al dibattito in Piazza Vittoria. E persino con un improvviso e rumoroso scroscio d’acqua sul tendone a far da sfondo, con qualche brivido.



“Modello Brescia”: il Centrodestra contro le scelte più innovative

In questa campagna elettorale – il cui esito riguarderà anche la Loggia - il “modello Brescia” è motivo di grande interesse per le sue realizzazioni. Il Termovalorizzatore è un esempio nazionale anche per gli onn. Renzi e Gelmini. In occasione del Forum Ambrosetti di Cernobbio la politica energetica di A2A, player nazionale, con le valutazioni dell’AD ing. Mazzoncini, perno d’una economia circolare. Un Metrò all’avanguardia della mobilità sostenibile, presto integrato con il Tram proposto dall’assessore Manzoni. Una A2A, nata tra Brescia e Milano, con servizi di prim’ordine e risorse dai 50 ai 70 mln di euro annui per il Comune capoluogo, con un dividendo frutto della fusione di ASM con AEM.
Che la Destra tenti il salto su questi carri in velocità non sorprende. Ma si dà il caso che il Centro Destra bresciano – tutto od in buona parte - su tutte queste scelte s’è schierato contro. Proprio così! Storia ormai sepolta? Tutt’altro. Perché essa ci dice di partiti, ceto politico ed eredi che, pur con diverse nomenclature, sono in campo ancora oggi. L’on. Paroli ha richiamato in questi giorni la sua Giunta in Loggia. Già…ma sorvola sul dettaglio che son bastati solo 5 anni per ritrovarsi con il suo vicesindaco Rolfi all’opposizione. E che nel decennio di Del Bono un ulteriore lungo cammino è stato compiuto, come in questi giorni il Sindaco ha efficacemente illustrato anche negli incontri con il ministro Orlando ed il segretario del PD, l’on. Letta.
Si prenda il Termovalorizzatore, proprio quello d’una motivata polemica che vede Brescia contrapposta ai gravi ritardi di Roma. Già, ma non può farla il Centro Destra bresciano, perché la Lega Lombarda, per voce del capogruppo Molgora (poi Presidente della Provincia) e l’allora MSI-AN in quel decisivo Consiglio Comunale del 28 luglio del 1992, votò contro.



Referendum sulla Giustizia: VOTO NO o NO VOTO? Legittimità e motivazioni del NO VOTO

Condivido il voto unanime che il PD ha espresso per i Referendum sulla giustizia: 5 NO, con possibili distinzioni personali. Anche da Presidente della Direzione Lombarda del PD ho molto apprezzato linea e capacità unitaria del Segretario Letta, come pure il senso di responsabilità delle varie componenti del PD. Un segnale forte che riguarda non solo i Referendum, ma le difficili scelte a sostegno del Governo Draghi e per la drammatica guerra in Ucraina.
La riflessione svolta sia in Direzione regionale che provinciale dall’on. Alfredo Bazoli ha poi evidenziato il rilevante contributo da lui dato per questa soluzione come Capogruppo PD nella Commissione Giustizia.
Ma mi interrogo se, ben oltre i quesiti, non sia il caso di spingersi con coraggio ai confini d’una ulteriore riflessione che esprima una contrarietà anche alla radice politica di quei Referendum.
Che la stagione dei Referendum – dal 1974 sul divorzio in poi - sia stata molto positiva per lo stesso sistema democratico è di tutta evidenza. Ha rotto anche i sigilli arrugginiti d’un sistema bloccato. Ma, a volte nella storia, sullo stesso tronco di grandi operazioni di partecipazione, se ne innestano anche di opposto segno. Il virus del populismo è la conferma di tutto ciò. Così, o per scelte di valore o per strumentalità di vario tipo sono stati promossi, dal 1974 ad oggi, ben più di cento quesiti per 67 Referendum. Con obbiettivi certo tra loro contrastanti, ma segni anche d’una inflazione referendaria che dice d’una crisi della politica e non solo d’una effettiva partecipazione civica. Come quando negli ingranaggi dell’economia si butta anche “cattiva moneta”, non per produrre ricchezza, ma per svalutarla con l’inflazione a danno delle classi sociali meno abbienti. Quindi, al di là dei formalismi da legulei, i vari Referendum vanno ben valutati e tra loro distinti per merito ed opportunità. E se sono trappole politiche ben congegnate, l’interrogativo non dovrebbe limitarsi al dubbio se infilarvici il dito oppure no.
Voto NO o NO voto? In talune occasioni, quindi, riterrei del tutto legittimo e motivato, per l’elettore, anche il non partecipare al voto. E, nella coincidenza con il voto amministrativo che ora ci riguarda, il non ritirare le schede del Referendum, per non concorrere al quorum.



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