Interventi

Intervento di Paolo Corsini sul PD

Cesare Damiano ci ha offerto un regesto prezioso delle politiche sulle quali dobbiamo cimentarci, ma credo sia opportuno tematizzare anche la questione della politica, al di là dell'elenco delle politiche. Quanto a questo profilo confesso che sono molto pessimista. Potrei condensare il mio pensiero parafrasando due righe dell'Orlando Innamorato, due versi che risalgono a 563 anni fa: "la politica, che non se n'era accorta, andava combattendo ed era morta". A prescindere dalla provocazione, certamente paradossale, il quadro con il quale dobbiamo misurarci resta senza dubbio deprimente.

In effetti l'antipolitica, il populismo regressivo da un lato e l' apolitica dall'altro - l'assenza di politica che abbiamo constatato anche alle ultime consultazioni amministrative, emblematico il caso di Viareggio dove noi vinciamo con il 78% e vota a malapena un terzo dei cittadini - ci dicono che lo spazio della politica è sempre più contestato, negletto, persino rimosso nel tempo di un linguaggio defraudato ed inespressivo. Twitter in sostanza dice di un  cinguettio querulo e svagato, Facebook di un'estetizzazione permanente che si traduce nel “mi piace”; svanisce l'impegno di un discorso pubblico retto sull'argomentazione politica capace di suffragare disegni e progetti. Per questa ragione credo dunque che il tema del partito sia centrale. Per quanto mi riguarda rifuggo da una politica che è sempre più rappresentazione e sempre meno rappresentanza, quella politica contemporanea che si riassume nella democrazia del pubblico, per cui i leaders politici sono gli attori che recitano sulla scena di un teatro di cui i cittadini sono gli spettatori. E così pure ritengo che si debba mantenere alta la soglia di difesa nei confronti di quella democrazia istantanea, senza mediazioni, che abolisce dal proprio orizzonte il tema dei fini, l'obiettivo di una crescita della civiltà della convivenza, quella democrazia per la quale la società civile diventa opinione pubblica che a sua volta si trasforma in audience. Se questa raffigurazione è minimamente probabile allora il partito è a questo punto fondamentale perché soltanto un partito che sia consapevole di se stesso, del suo ruolo, delle sue funzioni, può restituire dignità alla politica e pienezza alle sue ambizioni. Per quanto riguarda il Partito democratico due sono le derive da evitare.

Claudio Bragaglio: Commemorazione di Alberto Trebeschi

Iniziativa per il 28 maggio Aula Magna “A.Trebeschi” I.T.I.S. “B. Castelli” Brescia

 

Ricordiamo in quest’Aula Magna, a lui dedicata, la figura del prof. Alberto Trebeschi, docente di fisica del nostro istituto, vittima insieme alla moglie Clementina Calzari Trebeschi, nella strage di Piazza della Loggia.

In quel 28 maggio del 1974, lo scoppio d’una bomba, durante una manifestazione antifascista, promossa dalle forze politiche democratiche, dalle associazioni dei  partigiani e dalle organizzazioni sindacali, provocò otto vittime e un centinaio di feriti. Una stele in piazza Loggia ricorda quel drammatico avvenimento.  

Non è facile fornire oggi un’idea precisa e comprensibile di quel periodo,  definito come “strategia della tensione”, messa in campo contro la democrazia italiana. Con stragi ed attentati di matrice fascista o l’uccisione di esponenti politici, si pensi ad  Aldo Moro e alla sua scorta, da parte delle Brigate rosse.

Incontro allo Spazio Aref per il NO al Bigio - relazione di Valerio Terraroli - 23 01 13

Ringrazio di questa breve, ma ricca raccolta di dati e dell’analisi storica di una situazione che la città ha vissuto, o meglio, ha subito nel corso del tempo ed è corretto ricordare che, in realtà, i progetti di sventramento dei centri urbani risalgono a ben prima del fascismo, perché con lo stato unitario questa necessità era diventata incombente. Da un lato, essa era giustificata da una mal interpretata idea di risanamento dei centri storici, il che ha voluto sempre dire “prendere” la popolazione più povera che abitava nei centri storici degradati e spostarla nelle periferie: ciò è accaduto a Brescia, come a Roma e in altre realtà urbane tra inizi Novecento e il secondo dopoguerra. Dall'altro lato, l'operazione legittimava una evidente speculazione edilizia che raccoglieva investimenti, pubblici, ma soprattutto privati, e trasformava in modo definitivo i volti storicizzati delle città storiche. Detto questo, va anche riconosciuto un dato, che credo sia importante condividere, prima di affrontare il problema che ci vede qui riuniti stasera, cioè il fatto che il progetto di Piacentini era ed è, indubbiamente, sia dal punto di vista storico, sia da punto di vista della storia dell’architettura, un progetto significativo e importante.

Paolo Corsini: pensare la città.

(Pubblicato sulla Rivista nazionale del Pd "TamTam democratico" dedicato al tema: "la città", a cura di Paolo Corsini e Walter Tocci.

 

Alle origini della civiltà occidentale un mito presiede all’idea di città, della polis, dunque della politica che, a sua volta, rimanda a polemos, la guerra. Una polarità, quella polis-polemos, da non perdere di vista, al fine di sottrarre polis ad una lettura irenica, edulcorata, sottratta a tensioni, a contrasti, sino al conflitto. Già Giovan Battista Vico, in modo forse eterodosso, coglieva questa ambiguità, la fatica per il governo equo della città e la “guerra” per il potere di governo della polis. Ma torniamo pure a città-polis. Qui vale la narrazione di Platone nel Protagora. I Titani Epimeteo (“colui che vede dopo”) e Prometeo (“colui che vede prima”) sono incaricati di distribuire a ciascuna stirpe mortale le “facoltà naturali” che consentono la sopravvivenza associata. Il primo, con una inversione di ruolo rispetto al proprio etimo, provvede alla distribuzione, il secondo ne controllerà il risultato. Purtroppo Epimeteo esaurisce la riserva dei doni disponibili, elargendoli agli “esseri privi di ragione”, lasciando così l’uomo “nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi”. Per rimediare a Prometeo non resta che un gesto sacrilego: il furto ad Efesto ed Atena del fuoco e del sapere tecnico da portare agli uomini.

Eppur si muove . Note su La morte e la terra di Emanuele Severino

Prof. Eugenio Mazzarella

1. La persuasione che il divenire degli enti sia il loro venire dal nulla e il ritornarvi, cioè, da un punto di vista ontologico, il risolversi della verità dell’essere nella fede nel divenire, la riduzione dell’essere a nulla, la sua assunzione nichilistica “vista” nella e tramite la manifestatività degli enti, nella visione originariamente offerente con cui si danno al sapere, è ciò contro cui è volto da sempre l’ impegno filosofico di Emanuele Severino.

Un monumento aere perennius a questa persuasione – che gli scritti di Severino da sempre argomentano come autocontraddittoria – è certamente nel pensiero contemporaneo l’ontologia fenomenologica heideggeriana, l’originario corpo a corpo da cui parte la meditazione del filosofo bresciano. Ontologia fenomenologica, quella di Heidegger, dove il senso dell’essere – la direzione in cui l’essere viene all’ente e ai nostri occhi, se lo sanno vedere – è determinato come tempo: temporalità originaria (Temporalität), in cui si radica e germina la temporalità (Zeitlichkeit) dell’Esserci e di ogni ente come tale.

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