Discorso su Marx – Intervento di Massimo D’Alema all’Università di Pechino 5 maggio 2018

Partito

Un PD con una sola "vocazione maggioritaria": il “largo campo progressista”...da costruire!

Illusione in Sardegna e delusione in Abruzzo? Direi di no. Ora però vanno contrastati nel PD gli sbandamenti alle curve che si rendono necessarie o il cambio compulsivo dei piloti.
Nessun partito può vivere con due opposti cuori in petto. Ciò vale anche per un PD nazionale che nasce e s’immagina autosufficiente, con una vocazione maggioritaria in un sistema bipartitico. Mentre in Regioni, Province e Comuni il PD promuove ampie coalizioni. Pensiamo al voto per il Comune di Brescia, col PD al 26% e la Sindaca Laura Castelletti al 55%. Si tratta non solo di diverse regole elettorali, ma di opposte visioni nel rapporto della politica col Paese. Con un’Italia profonda il cui pluralismo sociale, territoriale e culturale risulta incomprimibile in rigide forme bipartitiche. Ed il PD che vince è solo quello delle ampie alleanze, anche sociali e civiche. Come peraltro confermato anche dall’esperienza bresciana.
E’ nota la predilezione del PD per i collegi uninominali, tipici dei sistemi bipartitici. Ed è questo, per me, il suo “legno storto”. Come se il voto dato agli alleati fosse un qualcosa sottratto al PD. Infatti dopo il fallimento dell’Unione prodiana, nel 2006, la risposta è stato l’accordo per una riforma elettorale “bipartitica” di Veltroni con Berlusconi.
Ma la mia critica precede il PD e riguarda anche il PCI-PDS-DS che ha promosso modalità non convincenti pur di farlo nascere così. Pensando che il PD fosse il coronamento dell’Ulivo e non già – come ritengo - la sua liquidazione. Il famoso: amalgama mal riuscito! Con la sottovalutazione della peculiarità sociale e politica  – non già un’anomalia! – rappresentata sia dalla DC e dal Mondo cattolico, che dalla migliore eredità del PCI, non travolta dal crollo del Muro di Berlino. Una peculiarità particolarmente significativa e confermata in terra bresciana e lombarda.
Ma il PDS occhettiano appena nato s’imbarca nei Progressisti e si separa dal Patto Segni e dal PPI di Martinazzoli. Mentre – tra loro insieme nel ’94 - avrebbero ottenuto il 49,5%. Da ciò e per entrambi la sconfitta e la vittoria di Berlusconi con quel suo 43%.  Dopo pochi mesi a Brescia si avvia con Paolo Corsini l’operazione d’una ampia alleanza, dal valore nazionale. Con la vittoria di Martinazzoli sindaco ed un Ulivo “ante litteram”.


Campus Edilizia un nodo politico da sciogliere

Mi auguro un chiarimento per evitare un’ulteriore frattura nel PD e nel Centro Sinistra in Loggia. La proposta di Campus Edilizia è stata zigzagante. Prima s’è parlato d’una condivisibile “Fondazione di partecipazione”, con un’impronta culturale. Nel Programma elettorale di Castelletti Sindaco vi era un solo cenno. Nel Documento approvato in Consiglio un salto in alto. Poi un ulteriore cambiamento con lo Statuto, oggi all’esame. Se, come dice l’Assessore Tiboni, Campus offrisse un contributo culturale non ci sarebbero problemi. Anzi. Ma irrisolti sono interrogativi importanti. Come mai Campus Edilizia passa da una “Fondazione di partecipazione” ad una Fondazione di Terzo Settore? Come mai soggetti economici di tipo profit, esclusi per legge dal Terzo Settore, adottano proprio una Fondazione di Terzo Settore? La differenza sta in una parola: “co-progettazione”, tra pubblico e privato. Come previsto dalla legge per quelle particolari realtà sociali e cooperative no profit.
Il capogruppo PD, Roberto Omodei, sostiene che la legge non prevede la coprogettazione in campo urbanistico. Vero e lo prendo in parola. Ma se una Fondazione, che si regge sulla coprogettazione, vede presenti soggetti privati direttamente interessati alla edilizia come fa il Comune a non avvertire l’esigenza politica di tutelarsi. Sia per l’oggi che per il domani. E se in futuro vincesse il Centro Destra di Rolfi? Tutelando gli stessi imprenditori, quelli corretti, che non vogliono confondersi con eventuali profittatori. Di cui è pieno il mondo e le cronache ogni giorno! Anche solo per un principio di cautela. L’emendamento Curcio è nient’altro che questo. Non ci si può limitare a dire solo ciò che non è previsto, ma scrivendo - nel dubbio - ciò che va escluso, e cioè la coprogettazione dei Piani urbanistici. Superfluo? Meglio, ma ci si tutela per l’oggi ed il domani. La netta separazione tra gli interessi in campo fa parte della nostra storia migliore degli assessori all’urbanistica, da Bazoli con Benevolo a Gorlani, da Corsini a Venturini. Memori anche dello scandalo Giancatterina che mise in ginocchio la Giunta Trebeschi nel 1983. Una Loggia quindi che si confronta con tutti soggetti economici, ma pure sociali: Sindacati, Associazionismo, Quartieri…Ma con l’autonomia delle proprie decisioni, nell’interesse generale della città.



https://bsnews.it/2024/02/11/campus-edilizia-tutelare-futuro-brescia-claudio-bragaglio/

Interrogativi sul rapporto tra “Fondazione Campus” e Loggia

Ho condiviso l’apprezzamento della Sindaca Castelletti sulle ricerche presentate dalla Fondazione Campus in Loggia. Ma mi pongo interrogativi sui rapporti tra Campus ed il Comune. La formula proposta è sorprendente. Infatti soggetti rappresentativi di grandi categorie economiche e di costruttori (Aib, Ance, Collegio Costruttori…) adottano la formula della “Fondazione del Terzo Settore”, pur non essendo assimilabili alla sua socialità. Infatti si adotta tale speciale Fondazione in quanto essa fa propria per legge la co-progettazione tra enti pubblici e privati, ma applicata ad ambiti sociali, ben diversi dalla pianificazione urbanistica e dal governo del territorio.
Ci si pone l’interrogativo della presenza del Comune tra i soci fondatori. Infatti, all’indomani di accordi con vari “Stakeholder” di Campus, la voce stessa del Consiglio e degli altri soggetti della partecipazione cittadina risulterà affievolita. Ma su temi così strategici chi oggi è maggioranza non può escludere di ritrovarsi in futuro all’opposizione, ma con una voce resa afona per propria responsabilità. Possibili poi i cortocircuiti d’una Giunta che sul governo del territorio potrebbe ritrovarsi a svolgere ruoli “double face”, magari confliggenti.


Un decalogo di dubbi su Elly Schlein candidata in Europa

Alcuni dubbi e riflessioni critiche sull’eventuale candidatura della Segretaria, Elly Schlein – in tutte le cinque Circoscrizioni od in parte – per il voto in Europa. In un personale modesto…decalogo.
Primo. La progressiva occupazione di ruoli – Segretaria del PD, Deputata alla Camera, poi Parlamentare in Europa - ma nell’impossibilità di poterli sommare, quindi  non potendo poi farvi fronte.
Secondo. Il rischio della riproposizione del peggior “politicismo”, con candidature istituzionali ritenute strumentalmente funzionali solo ad un interesse di corrente o di partito.
Terzo. Il danno per le altre candidature femminili in Europa, derivato da una obbligata concentrazione degli sforzi sull’esito della Segretaria nazionale. Di conseguenza, delle tre possibili “preferenze” con alternanza di genere, le due rimanenti – come da precedenti esperienze - vanno in netta maggioranza a candidature maschili.
Quarto. L’effetto di imitazione della probabile candidatura in Europa dell’on. Meloni. Nell’illusione di avvalersi della contrapposizione: Meloni-Schlein. Quando il meglio della Segretaria del PD – e la ragione del suo successo congressuale - sta proprio nel suo esplicito rifiuto di queste logiche di potere.

Un Pd “federativo” per un’ampia coalizione - l’esperienza bresciana

L’on. Pierluigi Castagnetti critica Elly Schlein perché nella Segreteria del PD non c’è un “Popolare”. Schlein risponde che “senza cattolici non c’è PD”. Bene. Ma in questo pingpong vi sono due nodi irrisolti. Perché l’Area di Bonaccini, data la sua composizione, non ha reclamato un Popolare in Segreteria? Perché dovrebbe esserci tale rappresentanza, ma in assenza d’una Area cattolica strutturata nel PD? In realtà queste contraddizioni derivano da un problema irrisolto dal PD. Lo stesso nodo che ha portato alla crisi l’Ulivo di Prodi nel ’98 ed è rimasto irrisolto nel 2007 con la nascita del PD.
E’ il problema che deriva dalla singolarità del “caso italiano”, rappresentato dal decisivo rapporto tra un’area cattolico-democratica e la sinistra riformista. Già risalendo all’Aldo Moro della “terza fase” ed al Berlinguer del “compromesso storico”. Confermato – per converso - anche dalla “débâcle” dei Progressisti di Occhetto, nel voto del ’93, schierati contro i Popolari. Da lì poi la svolta - di rilevo nazionale - verso l’Ulivo con Martinazzoli Sindaco a Brescia nel ‘94 e per la quale s’è vinto allora e si rivince ancora oggi in Loggia.
Nell’Ulivo prima e nel PD poi si sono scontrate due opposte tendenze che guardavano al di là dall’Italia. Al Partito Democratico degli USA, con un PD dal confuso “meticciato culturale”. Anche da ciò – ritengo - la mancata adesione al PD d’un Martinazzoli. La seconda, ad un Partito socialista europeo. Con una tale dualità anche a sinistra tra Veltroni e D’Alema. Con nel petto del PD queste anime opposte.

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