Bragaglio: riflessioni sulla riforma costituzionale

(Articolo pubblicato sulla Rivista Qui Libri n. 37 - settembre 2016)

Per una più corretta valutazione dell’attuale riforma costituzionale, va ricostruita, anche solo per cenni, la storia che l’ha preceduta.  Il punto di svolta va individuato nel triennio 1989-92, con la crisi del sistema politico in Italia ed in Europa.
Il periodo precedente si era collocato nel quadro costituzionale definito nel biennio 1946-48. Le cui scelte fondamentali sono ben note: repubblica, governo parlamentare, bicameralismo perfetto, sistema autonomistico, ruolo dei partiti politici, sistema elettorale proporzionale.
In sede di Assemblea Costituente non erano mancate autorevoli e diverse proposte, in particolare, per una Repubblica Presidenziale, da parte di Luigi Einaudi e di Piero Calamandrei.  Ma con l’approvazione nel settembre del 1946 dell’ordine del giorno Perassi prese definitivamente forma il modello d’un Governo parlamentare. Agli occhi dei critici con questa scelta si dava luogo ad un “motore privo dell’ingranaggio della stabilità”. Con un governo in balìa del proporzionalismo, la paralisi d’un bicameralismo perfetto, la moltiplicazione incontrollata dei partiti.
Tali funeste previsioni vennero poi smentite, ma con riferimento non tanto ai meccanismi costituzionali, quanto al concorso di altri fattori di stabilizzazione. Il primo, di carattere esterno, dovuto alla contrapposizione tra i due blocchi della “guerra fredda”, con conseguente “conventio ad excludendum” nei confronti delle sinistre PSI e PCI. Dando così luogo ad un  “bipartitismo imperfetto”, come è stato definito dal politologo Giorgio Galli. Con una pregiudiziale delimitazione dell’area di governo che ha operato come fattore coesivo per varie maggioranze, tutte imperniate sulla DC.